Con questo articolo proponiamo una nuova puntata per la rubrica speciale dedicata a raccontare il mondo dell’innovazione in un modo nuovo, servendoci delle idee, delle parole e della creatività di una nostra stimatissima partner, Sara Malaguti, che con il suo progetto Flowerista (di cui è Ceo e Founder) ha dato vita ad un Podcast imperdibile: “Con la creatività si mangia”, arrivato, oggi, alla sua quarta stagione.

In questo articolo parleremo degli outsiders: persone che sono in grado di portare innovazione in un settore diverso dal proprio, grazie alla contaminazione dei saperi, alla loro tenacia e lungimiranza.

Per rendere l’idea, proviamo a immaginare di trovarci all’interno di un cerchio, ma di essere sul suo confine. Abbiamo lo sguardo rivolto ad entrambe le direzioni, ovvero siamo in grado di comprendere il mondo che si trova nella nostra bolla, ma siamo anche abbastanza vicini alla realtà esterna per farci contaminare.

Un caso interessante è quello di John Harrison e la sua invenzione del cronometro marino.

Andò così. Nel 1707, nei pressi delle Isole Scilly, non lontano dalla Cornovaglia, avvenne una delle più gravi tragedie della Marina Militare Britannica: quattro navi da guerra si schiantarono contro la costa e circa 2000 marinai persero la vita. All’origine di questa tragedia c’era un problema che all’epoca attanagliava tutta l’Europa: nessuno sapeva come misurare correttamente e rapidamente la longitudine in mare aperto. Il governo inglese decise di affrontare questo problema di petto e mise in palio un premio per chi riuscisse a trovare una soluzione. Pensate che il premio era di tre milioni di euro (equivalente odierno)!

E sapete chi c’era a capo della commissione? Niente meno che Isaac Newton. Secondo Newton, soltanto un astronomo poteva avere le competenze necessarie per risolvere il problema. Invece, con grande sorpresa di tutti, ad aggiudicarsi il premio non fu un astronomo, né un matematico, e nemmeno un accademico. Fu un umile falegname autodidatta, di nome John Harrison. 

Harrison si rivelò un innovatore tanto straordinario quanto improbabile, che operava ai confini, se non completamente al di fuori, del sistema che riuscì di innovare.

Perché Newton sbagliava nella sua valutazione? Perché era talmente ancorato al metodo scientifico che trascurava le competenze complementari di John Harrison. L’inventore infatti aveva una straordinaria passione per gli orologi, che aveva iniziato a costruire dall’età di cinque anni. E grazie a questa esperienza riuscì ad andare fuori dagli schemi e a risolvere il problema della longitudine, realizzando un “cronometro marino”.

Portare un punto di vista inedito all’interno di un dato contesto è emotivamente difficile, perché in un certo senso l’outsider va controcorrente, e lo fa da solo.

Spesso un ruolo fondamentale nel superare questa paura è giocato dalla figura dell’alleato, del supporter. Ovvero, una persona o un gruppetto di persone fidate con competenze complementari alle sue o che è particolarmente influente nel settore in cui l’outsider vuole innovare.

John Harrison ad esempio, nonostante le sue umili origini, riuscì a farsi ascoltare anche grazie a James Short, scienziato e membro della Royal Society, che simpatizzava con lui perché appassionato strumenti di precisione, e addirittura grazie al Re Giorgio III, perché aveva l’hobby degli orologi, che collezionava.

 

Conoscete la storia di Johannes Gutenberg? Fu l’inventore della stampa a caratteri mobili e, pensate un po’, era un orafo.

Siamo agli inizi del 1400. Gutenberg viveva a Strasburgo, dove si occupava in particolare del conio delle monete e della lavorazione dei metalli.
A quell’epoca i libri venivano faticosamente scritti a mano da monaci dedicati a copiare le informazioni, i cosiddetti Amanuensi. Gutenberg capì che, grazie a un processo più efficiente, sarebbe stato possibile diffondere le informazioni, e quindi la cultura, su larga scala. Iniziò così a dedicarsi a degli esperimenti per riuscire a stampare libri e fascicoli in modo più semplice e veloce, usando dei caratteri mobili.

La segretezza della sua seconda attività era necessaria per due motivi:

– all’epoca non esistevano i brevetti e una nuova tecnologia poteva essere copiata da chiunque

– ma soprattutto, il ‘400 fu l’epoca delle superstizioni, dei maghi e della paura delle streghe. Chiunque sperimentasse delle nuove tecnologie incomprensibili per la massa era sospettato di essere in combutta con il diavolo, e la chiesa nutriva una forte diffidenza verso la scienza.

Dopo lunghi e costosi esperimenti, Gutenberg ebbe finalmente l’intuizione di incidere le lettere dell’alfabeto su singoli punzoni, che potevano essere ricombinati infinite volte. Fu proprio grazie alla sua esperienza come orafo, nella lavorazione dei metalli, che trovò la giusta combinazione, usando una lega di piombo, stagno e antimonio, per forgiare dei singoli caratteri riutilizzabili dopo l’uso. Provata l’efficienza della sua invenzione, riuscì finalmente a uscire allo scoperto. Fu così che i libri si trasformarono da esosissimi status symbol a strumenti di elevazione culturale sempre più “di massa”, contribuendo all’aumento dell’alfabetizzazione e di una cultura più vasta, popolare e alla portata, se non di tutti, almeno di molti.

Per fare in modo che un’invenzione abbia successo, è anche fondamentale saperla presentare al pubblico nel modo più convincente possibile, usando i termini richiesti dagli interlocutori interessati. John Harrison era un’autodidatta senza educazione formale, incapace di esprimere per iscritto le proprie idee in uno stile fruibile dalla comunità scientifica a cui si rivolgeva. Come ovviò a questo problema? Si rivolse a persone che potessero fare da ‘traduttori’, oltre che sostenitori, delle sue idee. Harrison riuscì ad attirare l’attenzione dell’esperto di meccanismi ad orologeria George Graham e dello scienziato James Short, il suo supporter, che lo aiutarono ad illustrare il suo caso di fronte al Parlamento.

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