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Il mercato del lavoro sta attraversando da anni una grande fase di cambiamento legata all’emergere di nuove “economie”. Ci si riferisce alla c.d. gig ( Vai alla definizione su trecani.it ) e sharing economy ( Vai alla definizione su trecani.it ) che, con l’aumentare della loro diffusione, stanno fronteggiando la difficoltà di ricondurre i nuovi rapporti di lavoro generati all’interno degli schemi tradizionali riconosciuti dagli ordinamenti statali.
La difficoltà nel definire questi particolari rapporti di lavoro è legata principalmente a due fattori:
I temi che, dunque, necessitano di essere approfonditi sono i seguenti:
Tuttavia, per semplificare quanto discusso nel presente articolo, risulta utile richiamare la definizione di datore di lavoro fornita dal “Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro” (D.lgs. 81/2008): “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o il soggetto che, a seconda dell’organizzazione aziendale che dirige, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva, in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”. Tale nozione, infatti, viene utilizzata spesso nella risoluzione delle controversie relative ai lavoratori delle nuove “economie” sopra richiamate.
Ogni qualvolta utilizziamo una piattaforma per l’acquisto di un bene o servizio, come ad esempio per ordinare un prodotto su Amazon, prenotare un alloggio su Booking, abbonarsi a Netflix o farsi recapitare la cena tramite Just Eat, che ruolo svolge la piattaforma stessa nella gestione della transazione?
Semplificando possiamo affermare che le piattaforme digitali possono assumere due ruoli:
A prescindere dal ruolo svolto nei confronti dell’utente, ciò che qui interessa approfondire è la qualifica della piattaforma nei confronti delle persone (in particolare i c.d. “rider”) che erogano il servizio (della piattaforma) all’utente stesso.
L’attribuzione del ruolo di datore di lavoro alla piattaforma digitale
Sul ruolo della piattaforma, nel senso sopra indicato, si può fare riferimento a due recenti pronunce.
Con la prima, del 24 novembre 2020, il Tribunale di Palermo ha riconosciuto la natura subordinata nel rapporto lavorativo esistente fra un rider e una piattaforma di delivery.
Nella motivazione il giudice, dopo un’approfondita analisi sulla natura della piattaforma in questione, svolge le seguenti considerazioni:
La seconda pronuncia (l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 31 dicembre 2020) ha riconosciuto una condotta discriminatoria da parte dell’algoritmo di una piattaforma di consegne a domicilio.
Il giudice ha rilevato un sistema di penalizzazione ai danni dei lavoratori assenti dal lavoro, senza tener conto se l’assenza fosse riconducibile a motivazioni futili o giustificate, come di malattia, sciopero o per l’assistenza a familiari.
Benché al momento siano state emesse poche sentenze (di merito) in materia, dai casi sopracitati emerge un chiaro orientamento della giurisprudenza volto a riconoscere alle Piattaforme la qualifica di impresa/datore di lavoro, essendo coloro alle quali viene attribuito il potere direttivo, anche se si tratta di un soggetto (apparentemente) immateriale (come un algoritmo o un software).
Se le piattaforme possono essere considerate “datrici di lavoro”, come devono essere inquadrati i loro “dipendenti”?
La mancanza di una regolamentazione certa in materia di piattaforme digitali ha condotto all’adozione dei più diversi modelli di rapporti lavorativi, senza che se ne sia affermato uno “dominante”.
La Corte di cassazione, nel c.d. “contenzioso Foodora”, con la Sentenza n. 1663 del 24 gennaio 2020 non ha preso posizione sulla “natura” del rapporto di lavoro, ma ha ritenuto applicabile (per altra via) la disciplina “sostanziale” del lavoro subordinato (in particolare ha affermato che In tema di rapporti di collaborazione ex art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015, ai fini dell’individuazione della nozione di “etero-organizzazione”, rilevante per l’applicazione della disciplina della subordinazione, è sufficiente che il coordinamento imposto dall’esterno sia funzionale con l’organizzazione del committente, così che le prestazioni del lavoratore possano, secondo la modulazione predisposta dal primo, inserirsi ed integrarsi con la sua organizzazione di impresa.
Per un approfondimento vedi: https://www.iusinitinere.it/cass-n-1663-2020-foodora-il-criterio-della-debolezza-economica-rilancia-il-lavoro-oltre-il-contratto-25745 ).
In via generale i c.d. co.co.co. (contratto di collaborazione coordinata) continuano a risultare la forma contrattuale più utilizzata nel settore delivery.
un’altra forma molto utilizzata è quella del lavoro autonomo: esso richiede una struttura organizzativa che, oltre a tener conto delle peculiarità tipiche delle piattaforme digitali, rispetti i vincoli del c.d. decreto rider (Dl 101/2019 convertito dalla legge 128/2019).
Nonostante sia ancora poco utilizzato, il lavoro subordinato emerge dalla pratica giurisprudenziale come la formula contrattuale più adeguata all’organizzazione del lavoro delle piattaforme, nonostante nella pratica presenti alcuni aspetti di difficile applicazione a queste nuove modalità lavorative.
La situazione di incertezza sopra descritta rende difficile da un lato per le aziende individuare la formula contrattuale più adatta alle specifiche caratteristiche della piattaforma e, dall’altro, per i lavoratori beneficiare di un’adeguata tutela (sia per quanto riguarda il trattamento economico, sia in tema di sicurezza sul lavoro e previdenza).
Al momento, i collaboratori delle piattaforme digitali che lavorano senza un contratto di lavoro subordinato devono attenersi agli standard previsti dal decreto rider, che prevede una retribuzione minima non inferiore a quella prevista dagli accordi collettivi stipulati ad hoc o, in mancanza, ai parametri previsti da un Ccnl (Contratto collettivo nazionale del lavoro) esistente (le organizzazioni sindacali hanno trovato accordo sul considerare come riferimento il Ccnl del settore logistica).
Al momento, l’unico accordo esistente concernente i rider è quello firmato da Assodelivery e Ugl (Unione generale del lavoro) nell’ottobre 2020, sebbene non sia stato riconosciuto dalle altre organizzazioni sindacali e dal Ministero del lavoro.
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