Con l’ottavo e ultimo episodio della seconda stagione di Con la creatività si mangia, il podcast di Flowerista esplora l’Open Innovation, un approccio innovativo che vede nella collaborazione esterna e nella condivisione di conoscenze e competenze la chiave per creare valore e competere in un mercato sempre più dinamico. Attraverso l’analisi delle sfide e dei vantaggi legati all’Open Innovation, Sara Malaguti affronta come anche i micro-brand, le startup e i professionisti creativi possano sfruttare questo modello per superare limiti economici e strutturali, favorendo l’innovazione a tutti i livelli.

 

 

Di seguito, vi proponiamo l’episodio completo nel racconto dell’autrice, che esplora l’impatto dell’Open Innovation sulle piccole imprese e i micro-brand, evidenziando le opportunità e le sfide che comporta questo approccio innovativo nel contesto attuale.

  1. COS’È L’OPEN INNOVATION

 

Ricordiamo che filo conduttore di queste 8 puntate è stato il tema dell’innovazione, un tema estremamente connesso alla sfera della creatività. Anzi, possiamo dire che la creatività è spesso un prerequisito fondamentale e il motore stesso dell’innovazione e del cambiamento.

 

In più, la creatività è molto più diffusa e trasversale di quanto si creda e ha molto più a che fare con un approccio che non con l’arte in sé. Infatti, non è qualcosa che riguarda soltanto gli artisti, ma possiamo trovarla in qualsiasi ambito, in qualsiasi settore.

 

Annie Warburton, Direttore Creativo di Crafts Council, ha affermato: «Oggi è possibile connettere il sapere scientifico e tecnologico con quello creativo e artistico. Perché la dimensione verticale è la conoscenza, quella orizzontale la contaminazione». Sara è una grande sostenitrice della contaminazione dei saperi assieme alla formazione, allo spirito di iniziativa e a partnership costruttive, è in grado di dare vita a business unici e sostenibili!

 

E questo vale non solo per le grosse aziende, tutt’altro. In questa puntata si parla proprio di innovazione portata dai micro-brand, in particolare quelli creativi, e viene confrontata con l’innovazione all’interno delle grandi aziende. Perché è così, l’innovazione può partire benissimo anche da loro, da piccole startup e solopreneur. Nonostante alcune debolezze, che verranno affrontate tra poco, le microimprese hanno degli imbattibili punti di forza.

Queste realtà puntano sull’unicità e sulla territorialità, per poi promuoversi ovunque grazie alle innovazioni tecnologiche, che aiutano a migliorare le performance quantitative e qualitative e permettono di arrivare anche in mercati internazionali. E così la vendita può diventare anche grande quanto il mondo intero! Sono realtà che hanno saputo sfruttare il periodo del lockdown per prendere coscienza, riordinare le idee, formarsi trovare nuovi modi di innovare.

 

Con questo non si vuole dire che sia tutto rose e fiori per i micro-brand italiani. Ma non bisogna nemmeno dare per scontato che per le aziende di più grandi dimensioni la strada per l’innovazione sia sempre facile.

Officine Innovazione, società di Deloitte, ha individuato i 4 principali ostacoli all’innovazione in Italia, dopo aver condotto un’indagine su più di 130 aziende, tra cui startup, PMI e Corporate. Secondo lo studio, le difficoltà principali sorgono durante la fase di ideazione e validazione del progetto, da cui derivano i quattro ostacoli:

  • Il primo è la definizione di un business model efficace, che renda scalabile e sostenibile un progetto imprenditoriale;
  • Il secondo è la comprensione dei reali bisogni del mercato e dei consumatori;
  • Il terzo la corretta gestione delle risorse finanziarie;
  • Il quarto ostacolo è dato dalle difficoltà nella creazione di un network stabile.

 

 

Anche Sara in questi anni di lavoro ha individuato tre macro-difficoltà che le micro-realtà devono affrontare per innovare. Sono di tipo dimensionale, economico e di mentalità.

 

  1. Dimensionale

Nel senso che, parlando di piccole realtà, spesso lavoratori autonomi, può mancare il senso della community e quindi la possibilità di confronto. Non a caso si parla di solitudine del solopreneur, ovvero dell’imprenditore (entrepreneur) che lavora da solo. La mancanza di confronto con altre figure esterne comporta spesso una visione distorta delle proprie mancanze, ma anche dei propri punti di forza, che a volte non vengono valorizzati a sufficienza.  Però, proprio grazie alle loro dimensioni ridotte, i micro-brand sono più flessibili e in grado di rendere i propri processi di innovazione più snelli e facilmente misurabili. Misurare in modo efficace i propri dati significa sapere se la direzione intrapresa è quella giusta e, in caso contrario, essere in grado di cambiare rotta al momento opportuno e velocemente.

Questo è un vantaggio rispetto alla lentezza che spesso caratterizza le grosse corporate, dovuta soprattutto alle pratiche burocratiche che diventano più complesse, e al passaggio di informazioni tra un reparto e l’altro. Soprattutto in quelle aziende ancora legate a un’organizzazione tradizionale del lavoro, il cui focus è rivolto ai singoli anelli della catena anziché all’organizzazione nel suo insieme e all’obiettivo ultimo da raggiungere, capita spesso che si verifichi il cosiddetto effetto silos. Cosa significa? Che ciascun dipartimento o silos, appunto, è tenuto separato agli altri, non condivide le informazioni e si concentra solo sui propri obiettivi dipartimentali ignorando la visione aziendale d’insieme.

 

 

  1. Economico

L’altro macro-ostacolo tipico dei micro-brand è quello economico. Per le realtà più piccoline è più difficile trovare finanziamenti e anche fare investimenti, perché spaventano, e questo contribuisce a tenere il freno a mano tirato sullo sviluppo dell’attività. Spesso alla base c’è un problema di lacune sul tema finanziario e anche il fatto di non aver al proprio fianco dei professionisti capaci di spiegare in modo semplice le diverse opportunità. Però, le possibilità di partecipare a bandi e usufruire di finanziamenti esistono, solo che spesso non ne siamo a conoscenza.

 

In più, essendo da soli bisogna essere capaci di fare un po’ di tutto e non è sempre così facile se non si hanno i partner giusti. È più complicato far emergere l’idea e l’innovazione, perché ovviamente gli sforzi sia economici che temporali per comunicarle al pubblico sono importanti. Le grosse aziende riescono ad ottenere una grande risonanza mediatica, dal momento che possono permettersi investimenti di marketing e comunicazione di gran lunga superiori. Un’azienda consolidata può contare sul know-how di settore, esperti per ogni dipartimento a cui può avere facile accesso e potenza di investimento.

 

 

  1. Mentalità

Infine, c’è un ostacolo di mentalità. Occorre trovare il giusto mindset, come abbiamo visto anche nella puntata precedente dedicata all’innovazione digitale, ma questo vale sia per i micro-brand sia per le aziende di dimensioni maggiori.

È complicato fare innovazione se le persone che devono portarla avanti non hanno sviluppato una forte mentalità imprenditoriale e orientata al digitale, se manca la proattività di crescere, se non si è pronti a rischiare di fallire. Bisogna mettersi in gioco per prepararsi al cambiamento, soprattutto in un’epoca come la nostra, caratterizzata da grandi e continui ribaltamenti dello status quo.

 

Spesso il problema all’interno delle aziende è l’approccio al cambiamento. Il messaggio che dovrebbe passare è che l’innovazione e lo spirito creativo, a qualsiasi livello aziendale, non sono una minaccia, piuttosto un’opportunità di crescita. Non importa che ci si trovi nel dipartimento sales, in quello payroll, o R&D. La sfida è quella di diffondere una cultura orientata all’innovazione e mirata a sprigionare il potere creativo e la motivazione dei dipendenti. L’innovazione dovrebbe proprio partire da loro, dai talenti interni. Questa innovazione, di tipo bottom-up, ovvero dal basso verso l’alto, è fondamentale.

Per fare in modo che questo accada, bisogna rendere l’ambiente di lavoro un luogo dove idee, creatività e libertà di comunicazione regnano sovrane, in ogni area. Così ciascun dipendente è spronato a non nascondere la sua opinione e si sente maggiormente coinvolto nelle possibilità di crescita del business!

 

L’innovazione può essere anche esterna

 

Negli ultimi anni si sta facendo strada l’open innovation, l’innovazione aperta. È un nuovo approccio strategico e culturale in base al quale le imprese, per creare più valore e competere sul mercato, non si avvalgono soltanto di risorse interne, ma cercano anche idee, soluzioni, strumenti e competenze tecnologiche che arrivano dall’esterno. Magari da realtà snelle e flessibili come freelance e micro-brand, startup, università, istituti di ricerca, consulenti.

Grazie all’open innovation è possibile sviluppare il network attraverso cui accedere a informazioni e risorse complementari, e affrontare nuovi mercati. Questo approccio all’innovazione comporta un cambiamento della cultura interna, e quindi dei processi aziendali, del business model e dei profili lavorativi.

 

La “closed innovation”, ovvero l’innovazione dentro l’impresa, da sola non può più bastare. Questa consapevolezza può intimorire le aziende perché significa che non sono più le uniche “proprietarie” delle invenzioni, che vengono invece condivise.

 

In pratica l’innovazione esterna non ha potenzialmente confini. Un’impresa ha la possibilità di uscire completamente dai propri schemi e innovare in modo del tutto nuovo.

Spesso risulta anche la strada più efficace e meno costosa per ridurre i tempi di lancio sul mercato di nuove soluzioni e generare nuovi flussi di cassa.

Infine, può diventare un modo per risolvere l’immobilismo che si crea spesso nelle grandi aziende.

 

Sara è convinta che esista un modo per i micro-brand per risolvere quegli ostacoli di tipo dimensionale, economico e di mindset presentati in precedenza. È convinta che la chiave sia riunire tutte queste figure (solopreneur, freelance, artigiani…) in una rete, in un’unica Community, che condivide gli stessi valori, in modo da farsi spalla l’un l’altro e creare un ecosistema di reciproco supporto. Una rete forte ci permette di integrare le competenze e trovare figure complementar. Questo, infatti, è anche l’obiettivo di Flowerista.

 

Se ci pensate, il digitale è fondamentale proprio per dare vita a questa condivisione sempre più necessaria. Mi viene detto spesso che il digitale ha azzerato le relazioni umane, ma credo che non sia così, anzi, le ha potenziate, perché ci ha permesso di metterci più in ascolto del nostro pubblico e quindi di raggiungerlo meglio, ma lo stesso vale anche nei confronti dei nostri potenziali partner e collaboratori. Questo centro di ascolto è imprescindibile nelle micro-industrie.

 

Non a caso, in Flowerista si cerca di portare avanti 3 aree diverse ma complementari: la formazione, la Community e i finanziamenti.

 

La formazione è fondamentale per imparare a usare questo strumento potentissimo che è il digitale e per sapere come far crescere il business online ma anche offline.

 

La Community invece permette di creare occasioni di networking, dal vivo se possibile, altrimenti sfruttando le piattaforme digitali. La Community Flowerista è nata nel 2017 a partire da un Manifesto condiviso, pubblicato sui Social, e da una serie di interviste portate avanti nel tempo. Il Manifesto si chiudeva con “È flowerista chi preferisce combattere una rivoluzione gentile, giorno dopo giorno, piuttosto che urlare al mondo le proprie lamentele”. Oggi la Community di Flowerista è un luogo reale e virtuale di anime gentili che trovano espressione, tra le altre cose, nel programma di membership e networking F Club. Un Club appunto, dove è possibile fare rete con altri professionisti, fare formazione, partecipare ad eventi digitali di networking come il Digital Networking Event su Zoom, scambiare informazioni, fare brainstorming e creare occasioni di lavoro.

 

Infine, stiamo stanno sviluppando l’area del Funding, che comprende la finanza agevolata (quindi i bandi), il crowdfunding, e in generale tutte quelle opportunità che esistono e che bisogna cogliere per sostenere finanziariamente i vari business. Sara crede che sia fondamentale riuscire a trovare delle persone competenti e disposte ad aiutare quei professionisti che sulla parte finanziaria sono meno forti.

Lo stesso team di Flowerista ci ha voluto mettere la faccia perché per poter spronare gli agli altri a farlo, devono essere loro le prime a crederci. E infatti hanno dato vita al loro primo progetto in Crowdfunding, che consiste nella realizzazione di Creatività Gentile Vol. 1, una pubblicazione cartacea e digitale per raccontare le storie di 30 Creativi italiani che stanno innovando il loro settore nel rispetto di ambiente e società, basandosi sui principi ESG (Environment, Social e Governance). Il crowdfunding è una “raccolta dal basso”, ovvero consiste nel realizzare un progetto grazie all’aiuto delle persone che, donando, anche solo 5 euro ciascuno, diventano parte attiva dell’iniziativa. L’importante è che tutti si sentano parte della causa e ne comprendano il messaggio. Solo così si può fare la differenza. L’obiettivo ultimo del progetto è supportare tutti i business creativi italiani e creare le condizioni per cui in Italia si possa dire “Con la creatività si mangia”. Che, non a caso, è anche il titolo di questo podcast.

 

 

Qui si conclude l’ultima puntata della seconda stagione del podcast di Sara Malaguti. Ovviamente non finisce qui, perché Flowerista ha continuato il suo podcast con invitati e puntate speciali che è possibile ascoltare su Spotify tramite i link sottostanti.

Speriamo che questa rubrica vi sia piaciuta e vi auguriamo un buon ascolto del resto del Podcast.

 

 

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