La Riforma Cartabia del processo penale (d.lgs. n. 150/2022), entrata in vigore per alcune norme nel 2022 e a pieno regime nello scorso anno, ha rappresentato – insieme alla riforma del processo civile (d.lgs. n. 149/2022) – una precisa condizione imposta all’Italia dalla Commissione dell’U.E. per il pagamento della terza rata da 18,5 miliardi del PNRR, essendo questa riforma compresa nei 54 traguardi-obiettivi assegnati all’Italia. Infatti, queste leggi rispondono all’obiettivo di superare l’hintrance (l’ostacolo) per la riconosciuta lentezza nella celebrazione dei processi giudiziari, ritenuti troppo lunghi, e che impediscono gli investimenti di società straniere in Italia.
Nell’ambito delle innovazioni introdotte da questa riforma nel processo penale, vi è anche quella che riguarda il diritto all’oblio, di cui all’art. 64-ter disp. att. c.p.p. (rubricata “Diritto all’oblio degli imputati e delle persone sottoposte alle indagini”), il cui intento è di superare in via normativa le precedenti prassi sintetizzate nel brocardo latino “semel reus, semper reus”.
L’attuale regolamentazione del diritto all’oblio trova un primo antecedente nella sentenza della Consulta n. 287 del 2010, con cui si avviava un graduale affrancamento di questo diritto dal complesso dei diritti della personalità, tutti ritenuti esplicazione dell’articolo 2 della Costituzione, nella quale il diritto all’oblio acquista una sua autonoma rilevanza giuridica. Questo diritto trovava anche un suo preciso riferimento normativo sia nell’art. 13 Cost., dato che la diffusione ingiustificata di notizie lesive della personalità comprimeva la libertà di autodeterminazione del prosciolto, sia nell’art. 27, co. 3, Cost., dato che tale situazione ostacolava comunque la capacità del soggetto di reinserirsi nella vita sociale e professionale. Sotto questo profilo, il diritto all’oblio si pone – nel bilanciamento dei contrapposti interessi – come prevalente rispetto al diritto di cronaca, da considerarsi recessivo, così come si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 9147/2020.
La giurisprudenza pacifica della Corte Suprema (cfr. Cass., Sez. II, 14/10/2020, Ndiaye; Cass., Sez. II, 21/03/2017, Seck) riconosce il diritto all’oblio all’imputato prosciolto in via definitiva e anche al condannato che abbia scontato interamente la pena, purché sia trascorso un congruo lasso di tempo. In queste circostanze non si giustifica più la circolazione di notizie, che possono portare solo un danno al soggetto interessato, specie quando la notizia viene riportata da giornali, sul web o nei social in modo distorto o non completo. Diversa è l’ipotesi in cui sussiste un interesse, pubblico ed attuale, alla “riproposizione” esatta della notizia, “quale rievocazione storica di fatti e vicende relative ad aventi del passato”, per il ruolo attuale dei protagonisti della vicenda, coinvolti di nuovo in eventi contemporanei ed attuali (cfr. Cass., S.U., 22/07/2019, n. 19681).
Sul piano del diritto internazionale, il Regolamento (U.E.) n. 2016/679 (c.d. GDPR) sulla protezione dei dati personali, in vigore dal 2018, prevede, all’articolo 17, il diritto dell’interessato di ottenere la cancellazione dei “dati personali che lo riguardano” da parte del “titolare del trattamento” che detiene di tali dati.
Si osserva poi che in Italia il nuovo art. 64-ter disp. att. c.p.p., introdotto dalla Riforma Cartabia, ha ora espressamente previsto tale diritto, a cui può accedere il soggetto destinatario sia di una sentenza di proscioglimento, sia di “non luogo a procedere”, sia di un provvedimento di “archiviazione”. Il diritto suddetto, come innanzi disciplinato, può esplicarsi in due modi diversi.
In primo luogo, con la “preclusione alla indicizzazione”, con la quale l’interessato, con apposita istanza depositata nella Cancelleria ed indirizzata al “giudice che ha emesso il provvedimento”, impedisce del tutto l’indicizzazione del provvedimento con una apposita annotazione sul provvedimento stesso. Tale provvedimento deve ritenersi sufficiente e vincolante, rappresentando una ulteriore cautela rispetto “all’oscuramento delle generalità” su istanza di parte, di cui all’art. 52, co. 1, d.lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice privacy).
In secondo luogo, il diritto all’oblio si realizza anche con la “deindicizzazione”, un’operazione che si effettua su internet, con cui si impedisce agli utenti di accedere, tramite i motori di ricerca esterni, all’archivio in cui è custodito quel dato contenuto. In tal modo l’interessato, con un’istanza sempre rivolta al “giudice che ha emesso il provvedimento”, ottiene che la Cancelleria sul provvedimento che lo riguarda apponga la seguente annotazione: “il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’art. 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 27/04/2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante”. E’ stato tuttavia osservato in dottrina che quest’ultimo provvedimento non basta, dovendosi comunque adire il giudice civile, ed in questa seconda ipotesi la richiesta di delisting va indirizzata al motore di ricerca, che sia responsabile del trattamento dati.
Per chiarezza va precisato che né la “preclusione all’indicizzazione”, né la “deindicizzazione” possono garantire in assoluto la cancellazione totale delle notizie relative al soggetto ed al procedimento penale che lo riguarda, in quanto ciò contrasterebbe sia con le caratteristiche strutturali tipiche dell’ecosistema digitale, sia con i diritti ed i valori tutelati dalla Costituzione, che, sebbene affievoliti, non possono essere del tutto ignorati, se prevalenti in futuro nella comparazione degli interessi a favore del diritto di cronaca, e a dirlo è la Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Quindi lo scopo pratico di detti istituti, regolati dall’art. 64-ter disp. att. c.p.p., è quello di rendere più difficoltosa la ricerca delle notizie, partendo dalle parole chiave che riguardano “le generalità ed i dati” di una determinata persona, impedendo in tal modo che dall’esterno di un sito specifico si può poi accedere alle notizie agendo sulla “visibilità telematica” della notizia. Tuttavia, è sempre possibile accedere a tali notizie attraverso la consultazione dell’archivio storico di giornali, riviste, blog, quando l’episodio in cui è stato coinvolto l’individuo ha rappresentato oggetto di articoli, link, immagini, video, inchieste di vario tipo.
Di Mario Caminiti – JETOR Consulting