Nelle scienze politiche e in sociologia, la diversità è uno dei concetti chiave: è il grado di differenza sociale, culturale, religiosa o di etnia, età, sesso, e genere in un gruppo definito di individui. Nkomo e Cox (1996) invece hanno proposto una definizione alternativa di diversità: una mescolanza di persone con identità di gruppo diverse all’interno dello stesso sistema sociale. In ogni caso, la questione risulta essere posta su un piano in particolare, quello del background e del trascorso sociale di una persona, che ne influenzano l’identità. McAdams, Trzesniewski, Lilgendahl, Benet-Martinez e Robins (2021) affermano: “le persone sviluppano il proprio sé attraverso un processo dinamico, continuo e reciproco di transazione con il proprio ambiente sociale”. Il luogo in cui cresciamo e viviamo, dunque, ci plasma e ci rende chi siamo.

 

Per quale motivo è particolarmente rilevante per gli uffici HR la questione della diversità e dell’inclusione sul posto di lavoro? Che cosa significa “inclusione”? E soprattutto, quale tipo di benefici può apportare a cultura, produttività e benessere all’interno di un’azienda, al punto da essere fondamentale nel processo di recruitment?

 

Nishii (2013) afferma: l’inclusione è quando “gli individui di ogni provenienza (…) sono trattati equamente, valorizzati per ciò che sono e inclusi nei processi decisionali fondamentali”. Dunque, non è sufficiente assumere persone con qualità, caratteristiche ed estrazione sociale diverse. È fondamentale coinvolgerle ed incorporarle attivamente nell’ambiente di cui fanno parte.

 

Diverse aziende e società importanti in tutto il mondo e in ogni campo da tempo ormai dichiarano apertamente il loro impegno in questo senso, costruendo (a detta loro) ambienti aperti e positivi. Il motivo è chiaro: tutte queste imprese hanno colto e compreso i vantaggi di un ambiente lavorativo diversificato ed eterogeneo, e per questo ne vogliono usufruire.

 

Non c’è dubbio sul fatto che buona parte di questo trend sia dettato anche da quello che viene chiamato employer branding, cioè quellinsieme di attributi e qualità che va a definire l’immagine di un’azienda, elemento chiave della strategia di quest’ultima per apparire agli occhi di potenziali candidati non solo come competitiva, ma anche, specialmente in questo caso, inclusiva, al passo coi tempi e orientata al futuro. Tuttavia, non si può nemmeno negare che ciò vada a giovare ai lavoratori e chiunque sia attivamente coinvolto nel team di un’impresa.

 

Occorre definire, dunque, quali sono effettivamente questi vantaggi.

 

Innanzitutto, numerose ricerche hanno evidenziato che team diversificati sono più innovativi e creativi. La presenza di individui con prospettive e competenze diverse stimola la discussione e favorisce la generazione di idee innovative, portando a una maggiore flessibilità, e consentendo alle aziende di adattarsi meglio a un ambiente in continua evoluzione.

 

Uno studio in particolare (Fjaellingsdal, Vesper, Fusaroli e Tylén, 2021) ha dimostrato empiricamente il modo in cui, in un compito di categorizzazione e problem solving, gruppi diversificati hanno performato in modo nettamente migliore rispetto a gruppi omogenei. I primi hanno, infatti, si sono adattati più velocemente a cambi repentini di regolamento; laddove in precedenza erano caduti in errore, si sono ripresi con maggiore facilità evitando lo stesso errore in seguito. La diversità di prospettive può dunque migliorare la risoluzione dei problemi. Team eterogenei sono in grado di affrontare sfide in modi diversi, portando a soluzioni ben ponderate, ma soprattutto più adattabili a qualsiasi evenienza.

 

Alcuni vantaggi economici includono l’aumento del bacino di personale qualificato proveniente da contesti diversi e l’ampliamento della gamma di candidati idonei all’assunzione (Foma, 2014). Attraverso politiche e pratiche di reclutamento incentrate sulla diversità, le aziende possono infatti attrarre una maggiore quantità di individui, permettendo all’azienda di selezionare tra una più ampia varietà di candidati altamente qualificati, che portano con sé una diversità di prospettive e approcci al lavoro. I benefici legati a ciò sono già stati discussi in precedenza.

 

Infine, un ambiente collaborativo ed inclusivo porta grandi benefici anche a chi opera al suo interno. Si fa riferimento alla cultura del lavoro, troppo spesso tossica, ma che può diventare stimolante e formativa nel momento in cui vengono promossi rapporti di cooperazione, fiducia, e stima reciproca. Spesso e volentieri sono i lavoratori stessi ad avere aspettative a riguardo, e i motivi sono chiari: far sì che i membri del team percepiscano di trovarsi nel posto giusto, e abbiano la possibilità di instaurare rapporti positivi con i colleghi, aumenta la soddisfazione sul lavoro e la produttività, riducendo assenteismo e turnover; non solo, ma migliora anche la salute mentale dei dipendenti e ne riduce il burnout.

 

In conclusione, la promozione della diversità e dell’inclusione sul posto di lavoro è cruciale per le aziende in quanto porta una serie di vantaggi tangibili e intangibili. Dalle evidenze scientifiche emerge chiaramente che team diversificati sono più innovativi, flessibili e aperti al cambiamento, contribuendo alla formazione di luoghi stimolanti, positivi e inclini al confronto costruttivo. L’attenzione verso la diversità e l’inclusione non solo rappresenta un imperativo etico, ma anche una scelta strategica che porta benefici economici e sociali a lungo termine per le aziende e per la società nel suo complesso. È dunque fondamentale che i dipartimenti HR ne siano al corrente e operino di conseguenza.

 

Benedetta Bellesia

Associata HR