Negli ultimi tempi si è parlato molto del c.d. work for equity, quale figura contrattuale nuova, introdotta da D.L. n. 179/2012 (c.d. “Decreto Crescita 2.0”), poi esteso dal successivo D.L. n. 3/2015, con il fine di consentire maggiori opportunità di sviluppo e di affermarsi sul mercato per start-up e per le PMI innovative.

     Il work for equity è un contratto di nuova istituzione, che consente di remunerare i consulenti, i prestatori di opere e servizi (es. avvocati, commercialisti, ingegneri, ecc.), i collaboratori esterni (senza vincolo di subordinazione) di una start-up o una PMI innovativa, che di solito non dispone di molta liquidità, ricompensando il lavoro svolto da detti collaboratori esterni attraverso azioni o quote della società medesima, dopo averle acquistate dai soci, ed anche con il vantaggio di una importante agevolazione fiscale.

    In tal modo la start-up e la PMI innovativa ha la possibilità di operare per realizzare il progetto per cui è stata costituita, senza impegnare le somma corrispondenti agli onorari e competenze da dare ai collaboratori esterni, con conseguente risparmio  di importanti risorse finanziarie, mentre, a loro volta, i collaboratori esterni, con la partecipazione agli utili societari, sono incentivati a realizzare il miglior risultato, risultando essi comproprietari di quote o azioni della società medesima, la quale è costituita di solito sotto forma di s.r.l.  Questa forma di pagamento consente, quindi, a start-up e PMI innovative un valido aulito, permettendo loro  di operare senza dover impegnare risorse finanziarie.

     Tuttavia le società interessate al work for equity devono prevedere specificamente la possibilità di utilizzare tale tipo di remunerazione. Si è ritenuto a tale riguardo che un limite applicativo può aversi per la società s.r.l. c.d.”semplificata”, prevista dall’art. 2463 c.c., dato che la s.r.l. semplificata è un tipo di società introdotto nel 2012 con il D.L. 24/01/2012  conv. con la L. 24/03/2012 n. 27 (c.d. “Decreto liberalizzazioni”), in cui per le obbligazioni sociali risponde solo l’azienda con il suo patrimonio, e quindi non è aggredibile il patrimonio personale dei soci, ed inoltre non occorre un capitale minimo di e 10.000,00. Si aggiunge che la s.r.l. “semplificata” può anche rivestire la qualifica di start-up innovativa, la cui funzione è la nascita di nuove imprese. Tuttavia le due figure sono divise e ben differenziate: la s.r.l. semplificata è una tipologia di società di capitale; invece la start-up è una categoria di impresa caratterizzata da un forte contenuto tecnologico e/o di innovazione, a cui l’ordinamento riserva particolari agevolazioni, se iscritta nell’apposito albo del Registro delle Imprese, tenuto dalla Camera di Commercio competente per territorio.

     Inoltre per attivare il work for equity le start-up e le PMI innovative devono redigere uno specifico accordo, in sia previsto nel dettaglio il servizio o l’opera da rendere e l’importo da corrispondere al professionista esterno attraverso la redazione di una perizia fatta da un esperto (di solito un commercialista) nominato dalle parti. Gli apporti di prestazione di servizi resi con quote di una società s.r.l., costituite da aumento di capitale a pagamento, vanno garantite da apposita polizza a carico dei soggetti prestatori del servizio, a tutela della esatta esecuzione di quanto dovuto. La garanzia può essere data anche con u versamento in danaro, a titolo di cauzione.

    Le modalità operative di utilizzo del work for equity sono principalmente tre.

    La prima modalità è costituita dalla cessione ai prestatori d’opera di quote o azioni, in precedenza acquistate dai soci, alle condizioni di cui all’art. 2357 c.c., se a titolo oneroso. Nell’ipotesi di cessione di quote a titolo gratuito, ex art. 2357-bis c.c., non vi sono limiti, purché le quote o azioni siano integralmente “liberate” (cioè che sia stato eseguito interamente il corrispondente conferimento). Tale primo metodo del work for equity, com’è intuitivo, è stato poco utilizzato a causa delle formalità che lo caratterizzano.

       La seconda modalità si realizza con l’aumento di capitale sociale a titolo gratuito, con assegnazione di nuove azioni o quote ai prestatori d’opera, imputando a capitale sociale gli utili realizzati nell’esercizio e/o le riserve disponibili dell’ultimo bilancio approvato. Anche questo tipo però presenta varie difficoltà operative, dato che l’aumento di capitale a titolo gratuito può avvenire solo a favore di soci già esistenti, con esclusione dei soci terzi, – ipotesi realizzabile solo per le società costituite in S.p.A. – e soltanto in favore dei dipendenti stabili e non per i collaboratori esterni.

      La terza modalità applicativa del work for equity è costituita da un aumento di capitale a pagamento realizzato con nuove azioni o quote ai prestatori d’opera, integralmente “liberate” (cioè che sia stato eseguito interamente il corrispondente conferimento), quale condizione per consentire l’ingresso di nuovi conferimenti da parte di terzi.

     In una valutazione conclusiva di questa nuova forma contrattuale, bisogna tener conto che essa presenta vantaggi sia per le start-up e le PMI innovative, dato che costituisce un minor costo finanziario ed economico, sia per il lavoratore esterno (senza vincoli di subordinazione), il quale – a fronte del “rischio d’impresa” (in caso di insuccesso dell’iniziativa), dato che le azioni o quote, avute in cambio del lavoro prestato, hanno perduto valore – realizza comunque una maggiore stabilità con il lavoro e l’occupazione e con il coinvolgimento nella stessa gestione della società, essendo titolare del diritto di voto e di controllo, in qualità di proprietario delle azioni o quote della società medesima.

    Tuttavia si sono anche problemi ostativi, che in pratica limitano l’utilizzo e la diffusione del work for equity. Infatti – come in precedenza indicato – è necessario effettuare precise valutazioni preliminari strategiche, non sottovalutando i vari aspetti giuridici. Occorre infatti tener conto – come s’è detto – che i termini e le condizioni di emissione delle azioni o quote vanno disciplinati da un accordo o regolamento, in cui siano indicati in modo preciso gli obiettivi da raggiungere e la quantificazione dell’impegno che il professionista esterno deve rendere, attraverso la redazione di una perizia fatta da un esperto nominato dalle parti, non dimenticando anche la dimensione temporale che riguarda il rapporto di lavoro per un tempo prestabilito.

    Si ricorda infine che la Circolare n. 16/E dell’11/06/2014 dell’Agenzia delle Entrate ha reso noto che tra i soggetti beneficiari del work for equity non possono essere compresi i “collaboratori occasionali”, ma solo quelli a carattere continuativo.                    

 

Mario Caminiti

JETOR Consulting – Junior Enterprise Tor Vergata