Con questo articolo proponiamo una nuova puntata per la rubrica speciale dedicata a raccontare il mondo dell’innovazione in un modo nuovo, servendoci delle idee, delle parole e della creatività di una nostra stimatissima partner, Sara Malaguti, che con il suo progetto Flowerista (di cui è Ceo e Founder) ha dato vita ad un Podcast imperdibile: “Con la creatività si mangia”, arrivato, oggi, alla sua quarta stagione.

In fondo all’articolo trovate il link per ascoltare direttamente la puntata di cui raccomandiamo sentitamente l’ascolto.
In questo articolo, infatti, ci limitiamo per ragioni editoriali, a sottolineare alcuni highlight.

L’innovazione crea nuovi bisogni, spesso non essenziali, a cui dare risposta. E qualche volta dà vita a vere e proprie mode. Questo accade più che mai nell’epoca del consumismo in cui viviamo. La cosiddetta “società dei consumi” si basa sul fatto di acquistare beni superflui, formando una comunità omogenea di consumatori.

Negli anni 70. Gary Dahl, un copywriter pubblicitario ebbe un’idea che gli cambiò la vita. Dahl inventò delle rocce da compagnia, denominate Pet Rock.

Pare che Dahl un giorno si trovasse al suo solito bar e, mentre ascoltava i suoi amici lamentarsi dei loro animali domestici, disse per scherzo che la roccia avrebbe potuto essere l’animale domestico perfetto: non mangia, non sporca, non disturba.

Bene, nel 1975 la roccia da compagnia di Dahl divenne “virale”: al prezzo di 3,95$ a roccia, ne vennero vendute oltre un milione.

Il prodotto consisteva in una normalissima pietra, ma il pezzo forte era il confezionamento: la pietra era riposta in un piccolo contenitore con fori per l’aria (come quelli per gli animali domestici), ed era dentro a un nido di fieno, in modo che sembrasse un uovo. In più, era compresa anche una guida dettagliata su come prendersi cura dell’animaletto, rendendo la confezione la parte più importante del prodotto e dell’esperienza stessa.

Dahl non andava a rispondere ad un reale bisogno della popolazione, ma ne aveva inventato uno.

A proposito di surrogati di animali domestici, come non citare il Tamagotchi?

I Tamagotchi sono dei cyber-pets, degli animaletti virtuali che hanno bisogno delle nostre cure per crescere ed evolversi. Immaginate delle piccole uova di plastica contenenti un micro chip, dei tastini e un altrettanto piccolo schermo Lcd su cui osservare l’animaletto.

Ecco, quando Yokoi Akiro inventò il Tamagotchi, nel 1996, fu una vera rivoluzione. Si trattava di un’embrionale intelligenza artificiale in grado di reagire e rispondere agli impulsi e alle cure del proprietario.

Pare che ad allettare il consumatore non fosse l’hardware, né il software, ma tutto quello che ci stava attorno: prendersi cura dell’animaletto virtuale era semplice e dava un’immediata soddisfazione. Inoltre, anche i bambini potevano provare l’ebrezza di avere il controllo più assoluto su una creatura. L’ovetto sembrava perfetto per colmare i vuoti emotivi delle persone ed era adatto a maschi e femmine.

Ma proviamo ad andare un po’ più a fondo sulle motivazioni che rendono virale la diffusione di invenzioni come il Tamagotchi, il Pet Rock e tanti altri. In pratica, cos’è che determina un trend oggigiorno?

Possiamo citare il fenomeno dei Pop-It, del 2021, o degli spinner, del 2017. Il Pop it è stato il tormentone dell’estate 2021 ed è in pista tuttora.

Questi oggetti sarebbero quindi stati inventati per aiutare le persone a calmarsi e a concentrarsi… Ma sarà davvero così?

Questa tesi viene messa in discussione da molti, da alcune insegnanti in primis e d’altra parte non è sostenuta da alcuno studio specifico.

In questi casi, dunque, non sarebbe forse più sensato parlare di mode? Oggetti che non vengono inventati per soddisfare un bisogno reale, ma per crearne uno? In primis mi viene in mente il bisogno di omologarsi agli altri.

C’è una leva che spinge più delle altre in questi casi, ed è quella della paura del rifiuto sociale, la paura di non essere accettati.

Solitamente le mode di cui abbiamo parlato hanno dei picchi di successo, ma poi scompaiono altrettanto in fretta: il fenomeno Pet rock durò sei mesi, il Tamagotchi un paio d’anni al massimo e così via. Per poi passare alla moda successiva.

Il fatto è che la maggior parte delle persone (non solo adolescenti e bambini) è attratta da nuove idee: associamo “nuovo” a “meglio”. Crediamo che la chiave della nostra felicità sia nel prossimo acquisto che faremo. Quando però ci accorgiamo che non è così, allora ci illudiamo che il vero oggetto della felicità sia quello che non abbiamo ancora visto. E alla fine proviamo una sensazione di malessere, perché l’appagamento non arriva mai e addirittura temiamo di perdere qualcosa, un’occasione.

Questa paura ha anche un nome: FOMO, “Fear Of Missing Out”, che significa “paura di essere tagliati fuori”. Temiamo di perdere qualcosa di prezioso se non stiamo costantemente “sul pezzo” e che non potremo più rimetterci al passo con il mondo e con il gruppo a cui vogliamo appartenere.

Ad ogni modo, l’idea o il prodotto per quanto geniali ed innovativi non bastano per creare una moda se mancano i cosiddetti connettori, ovvero quelle figure come testimonial o influencer, che sono in grado di diffondere ad una vasta platea la propria preferenza.

Le mode sono sempre esistite, quello che cambia sono i canali e quindi la rapidità e l’ampiezza di diffusione.Parlando di canali, non possiamo non citare TikTok. Su questo social network (il più popolare tra gli adolescenti) alcuni prodotti attraversano brevi ma intensi momenti di popolarità, e le aziende di conseguenza adattano la loro offerta per cavalcare l’onda.

Tratto dal podcast “Con la creatività si mangia” di Sara Malaguti, Digital Strategist con la passione per la creatività.

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