Come già evidenziato nell’articolo “Esport: caratteri generali” , benché il settore stia attualmente conoscendo una grande fase di sviluppo, supportata da importanti investimenti a livello mondiale, non ha ancora ricevuto un riconoscimento ufficiale come disciplina sportiva da parte del CIO (Comitato Olimpico Internazionale).

Da ciò ne deriva, non solo in Italia, una notevole incertezze sulla normativa da applicare ai vari aspetti di questo fenomeno.

Allo stato attuale, c’è chi ipotizza che, in mancanza di un’apposita regolamentazione, in Italia l’organizzazione dei tornei di esport potrebbe sfociare nell’ambito della normativa sui giochi con vincita in denaro o delle manifestazioni a premi.

Nonostante questo, la maggior parte dei paesi europei non ha ancora introdotto una disciplina organica e per ora la Francia è tra i pochi paesi ad aver provveduto a legiferare organicamente sul tema. Oltralpe, fra le principali innovazioni, hanno introdotto la figura del pro-player, elaborando un corrispondente trattamento giuslavorista oltre a definire i criteri generali per l’organizzazione delle competizioni, soggette ad una preventiva approvazione.

Un primo tentativo di impostare le basi per un’architettura normativa in Italia è stato l’“Esport Legal Forum”, svoltosi il 15 ottobre 2020, che ha visto i sette studi legali associati al network dell’OIES (Osservatorio Italiano ESport) discutere sulle principali criticità dell’assetto normativo italiano in tema di esport. Ad oggi è previsto il secondo E-sport Legal Forum, che vedrà come protagonista Michele Barbone, attuale presidente di Federdanza e coordinatore, per conto del Coni, del Comitato promotore degli esports. Barbone ha assicurato che ci saranno importanti novità per il riconoscimento di una Federazione nazionale degli e sports.

 

Inquadramento lavorativo dei gamer

Il primo scoglio riguardo i c.d. “gamer” è il loro inquadramento in qualità di atleti (dilettanti o professionisti).

Benché la FIDE (Federazione Italiana Discipline Elettroniche) sia ancora in attesa di un’approvazione ufficiale da parte del CONI (Comitato Olimpico Nazionale Italiano), i pro player possono essere tesserati tramite enti di promozione sportiva riconosciuti (dal CONI). Ad esempio la GEC (Giochi Elettronici competitivi) è l’organizzazione responsabile della regolamentazione degli eSports per il solo circuito ASI (Associazioni Sportive sociali Italiane).

Pertanto, se tesserato, il giocatore può essere considerato come un lavoratore subordinato o para subordinato, come avviene per gli atleti degli sport tradizionali. Tuttavia, allo stato attuale, i rapporti tra player e squadre esport sono completamente deregolamentati e mancano forme di tutela per chi intenda avviare una carriera in questo settore. In mancanza di un riconoscimento, nel nostro paese gli esport non possono essere ricondotti nell’alveo del professionismo e di conseguenza le leggi per gli atleti professionisti non possono valere per i gamer.

Resta inoltre aperto l’interrogativo riguardante i giocatori non legati in via esclusiva a una squadra, per i quali potrebbe essere necessaria la partita IVA.

Quando il legislatore interverrà sul tema, dovrà inoltre decidere se qualificare i gamer come sportivi professionisti o sportivi dilettanti. Questa scelta andrà a impattare su una serie di questioni, ad esempio sull’orario di lavoro per un pro player e su un eventuale luogo di lavoro.

Identità virtuale ed esport

L’identità, e la connessa reputazione digitale, sono ovviamente estremamente importanti per un gamer, soprattutto considerando che su di essa poggia la sua intera attività e che la reale identità è spesso nascosta dietro un avatar e un nickname.

Il furto dell’identità digitale diviene dunque un rischio particolarmente sensibile per i gamer professionisti, anche senza considerare il consistente numero di minorenni presente a rendere il quadro ancor più complicato.

 

Le frodi sportive

Come per gli sport convenzionali, anche gli esport sono stati gradualmente affiancati dal settore delle scommesse. Alcuni dei più importanti operatori offrono già la possibilità di scommettere su competizioni di videogiochi.

Ovviamente, in Italia è previsto il reato di frode sportiva che punisce un accordo, un atto od una omissione intenzionale miranti ad alterare in modo improprio il risultato o l’andamento di una competizione sportiva. Tuttavia, esistendo nel nostro ordinamento il divieto di analogia per le fattispecie penali, tali norme non sono applicabili al mondo delle competizioni esport, formalmente non riconosciute come eventi sportivi.
Quindi non esiste di fatto una normativa che possa punire chi concorda in anticipo i risultati degli incontri.

Lo stesso criterio è purtroppo applicabile anche all’assunzione di sostanze dopanti da parte dei giocatori.

Al momento, gli unici vincoli etici a cui sono tenuti i gamer sono quelli previsti dai loro contratti di lavoro o di sponsorizzazione e ai regolamenti dei singoli tornei.

Ovviante, tale vuoto normativo, unito alla bassa età media dei giocatori e a precedenti internazionali, contribuisce a disincentivare gli investimenti sugli esport italiani.

 

Le sponsorizzazioni

Come sappiamo, i contratti di sponsorizzazione sono già largamente utilizzati negli sport tradizionali. Negli esport rivestono la principale voce d’entrata, sia per gli atleti che per i club.

Il legislatore sarà dunque chiamato a stabilire se le regole già in uso siano applicabili a un sistema particolare come gli esport. Ad esempio, se l’identità del giocatore è celata da un nickname/avatar, è possibile sponsorizzare l’avatar? E, in tal caso, quali sarebbero gli obblighi e i diritti del giocatore? Quali vincoli andrebbero applicati all’attuazione dei contratti? Come verrebbero considerati dal punto di vista fiscale?

Inoltre, nel contesto degli esport, si rilevano due principali fenomeni di veicolazione pubblicitaria:

  • In game advertising ove siano presenti elementi pubblicitari all’interno di un gioco (sia nella versione commerciale che durante la trasmissione degli incontri). Ad esempio, nei giochi di calcio Fifa o PES possiamo trovare pubblicità nella cartellonistica degli stadi virtuali. Oppure, in Fortnite sono presenti banner pubblicitari visibili soltanto agli spettatori.

 

  • Advergaming nel caso di videogiochi creati appositamente per promuovere messaggi pubblicitari, sviluppare la brand awareness e generare traffico verso i siti commerciali.

 

Si necessita ricordare i tre requisiti che deve avere il messaggio pubblicitario: veridicità, correttezza e identificabile. Le campagne pubblicitarie richiedono, pertanto, molta attenzione da parte dei brand in quanto il mancato rispetto dei requisiti normativi espone i primi a rischio di sanzioni.

Infine, l’ambush marketing indica la pratica, da parte di un brand, di associarsi a un evento per sfruttarne la risonanza mediatica, senza alcun accordo/autorizzazione.

Inoltre, benché in Italia si sia recentemente provveduto a emanare una legge in materia, la sua applicabilità agli eventi di esport risulta estremamente dubbia, sfavorendo di fatto le sponsorizzazioni delle competizioni.

 

Il ruolo dell’ avvocato

In una tale cornice ricca di incertezze la figura dell’avvocato, dotato di competenze trasversali, gioca un ruolo importante con riferimento ai grandi brand internazionali, società sportive, federazioni, sviluppatori e gamer (o team).

Il consulente avrà il compito di colmare i vuoti normativi, individuando la tutela delle parti in campo considerando le ampie implicazioni multidisciplinari che spazio dalla protezione della proprietà intellettuale al fiscale, dal diritto commerciale al societario, fino al diritto del lavoro.