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La vita di ogni persona è di fatto costellata di errori, più o meno gravi. Sbagliare non fa piacere, ma affrontare e superare le conseguenze dei propri errori è il modo migliore per crescere e imparare.
Del resto non ci aspettiamo che un bambino impari a camminare o a parlare al primo tentativo (e, tornando indietro con la memoria, quasi tutti dovremmo riuscire a ricordare le prime cadute in sella a una bicicletta). E la nostra crescita è diretta conseguenza del modo con cui affrontiamo gli ostacoli e superiamo i fallimenti che la vita ci pone davanti.
Per far questo dobbiamo innanzitutto considerare l’errore e il fallimento non soltanto
in modo negativo.
Al fallimento associamo spesso paura e vergogna, invece l’errore è considerato un evento comune e più neutro: sovente abbiamo sentito le espressioni “errare humanum est”, “nessuno nasce imparato” o “sbagliando si impara”.
Come passare quindi dall’errore al fallimento senza far prevalere solo le sensazioni negative?
Alcuni illustri metodi pedagogici tra cui, ad esempio, quello scout ideato da Sir Robert Baden-Powell, privilegiano il lasciar spazio all’esperienza, anche quando destinata a condurre a un fallimento.
Guardando a storie di grande successo, possiamo facilmente renderci conto di quanto il fallimento sia effettivamente comune: J.K. Rowling ha visto il suo Harry Potter rifiutato da ben 12 editori prima che qualcuno le concedesse fiducia, Edison è riuscito a realizzare la sua lampadina dopo circa 10.000 prototipi, Henry Ford fallì così tanto da essere radiato dall’industria automobilistica (prima di iniziare a produrre la famosa Ford T), addirittura alcune scoperte e invenzioni sono emerse da errori come la colla dei post-it o la penicillina e la lista sarebbe ancora molto lunga.
Esploriamo quindi i principi alla base della c.d. cultura del fallimento che, già ampiamente diffusa negli Stati Uniti, sta catturando interesse anche in Italia.
Dunque gli errori possono contribuire ad arricchire significativamente il nostro bagaglio di esperienza, aiutandoci nel lungo periodo a comprendere più velocemente quali strade devono essere abbandonate e quali possono invece portare dei frutti, con conseguenti risparmi di tempo, energie e costi.
L’accettazione e la tolleranza di un contenuto livello d’errore possono generare un terreno fertile per l’innovazione, sia a livello personale che aziendale:
Alla luce di quanto appena descritto, ci si accorge facilmente di come la cultura del fallimento sia in grado di stimolare la creazione di un ambiente partecipativo, in cui viene agevolato il confronto fra punti di vista e competenze diversi.
Tuttavia, affinché gli errori non si traducano in un vero e proprio fallimento (nel senso comunemente inteso), bisogna essere in grado di cogliere e assimilare la lezione derivante dall’insuccesso.
Ciò è possibile soltanto tramite l’analisi del percorso svolto e delle sue conseguenze.
Nell’analizzare un insuccesso andranno prese in considerazione soprattutto due dimensioni:
Rispetto alla prima è importante riconoscere i propri limiti, in particolare quelli che sono stati determinanti per il fallimento, senza colpevolizzarsi.
I limiti sono normali e comuni a tutti noi, ma individuarli e affrontarli (nel senso di superarli, ad esempio studiando, oppure aggirandoli, scegliendo strade diverse) è fondamentale per i nostri progetti futuri.
L’analisi del progetto e del contesto in cui si è svolto, invece, ci permette di comprendere le cause esterne del fallimento, intese come fattori ed elementi derivanti non dal nostro comportamento ma da condizioni oggettive: il luogo dove si è svolto il progetto, il momento storico, le persone che hanno collaborato con noi etc.
In sintesi se non è corretto, forse, affermare che il fallimento è bello (perché ogni insuccesso provoca conseguenze e danni), certo possiamo affrontare in modo costruttivo tale evento. Potremmo così trarre beneficio dall’esperienza e dalle conoscenze acquisite: sia per non ripetere gli stessi errori, sia per individuare nuove strade che possono condurci ai risultati sperati.
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